Gino Rossi: la follia del colore

Gino Rossi (1884 –1947) svela nei suoi paesaggi e nei suoi ritratti tutta la sua inquietudine di artista del suo tempo attraverso l'uso di una tavolozza di colori vibranti, talora assolati e intrisi di luce talora freddi e avvolti da un velo di indecifrabile oscurità, che ben rappresentano i mutamenti alterni del suo animo.

Pittore veneziano dei primi del Novecento muove i suoi primi passi tra la natura dei paesaggi che lo circondano fin dall’infanzia (Venezia, Burano, Asolo, il Montello), che ritrae in molte sue opere giovanili, e i successivi incontri con la grande arte a Ca’ Pesaro, prima, e a Parigi in seguito, dove si confronta con gli artisti della sua epoca, da Gaugin a Picasso, da Modigliani ai fauves traendone ispirazione e stimoli per le sue opere.

Paesaggi bretoni, vedute di Burano e scorci asolani rivelano influenze diverse, dal sintetismo di Gauguin a certe stilizzazioni liberty dell’epoca. Opere fatte di esaltante colore a cui si contrappone in altre una ricerca formale di rigoroso impegno costruttivo. Nel corso degli anni, nuovi contatti con l'arte e nuovi stimoli aprirono a Rossi visioni e indirizzi che portarono la sua pittura verso il Cubismo, riprendendo infine la lezione di Cézanne.

Il dramma della guerra e della prigionia, e crisi familiari acute e destabilizzanti che lo accompagnarono più volte nel corso della sua vita, minarono irrimediabilmente il suo precario equilibrio mentale fino all’internamento a partire dal 1925 in numerosi manicomi da cui non uscirà più sino alla morte nel 1947. Un internamento che, lungi dal guarire le manifestazioni e gli accessi di ciò che al tempo gli fu diagnosticata come una grave forma di follia, spense a poco a poco drammaticamente quella luce interiore d’artista il cui sguardo scorge ben al di là di ciò che la realtà ci rappresenta per sconfinare in un mondo dove la coscienza si amplia sino ad abbracciarne l’essenza.