la valigia di cuoio


Odore di cuoio sotto il naso. Per giorni. Mesi. Anni. Cuoio vissuto, segnato da mille rughe come il viso di una bella donna ormai troppo avanti con gli anni. Pelle stropicciata attraversata da linee incerte come rivoli sottili di un fiume che indeciso su dove sfociare si divide in mille rami fino ad abbracciare il mare. Brandelli di ragnatele a ricoprirne la superficie. Macchie di muffa vellutate e soffici ad animarne gli angoli più nascosti. Cuoio dall’odore acre e pungente che solletica le narici fino a farle contrarre e poi scoppiare in uno sbuffo violento. Il cuoio della mia vecchia valigia. Testimone silente di incontri fugaci e sguardi rubati, languori del corpo e sussulti dell’anima.

Ogni primo lunedì del mese mi alzavo di buon’ora. Gli occhi ancora umidi di sonno si aprivano a fatica, la testa ciondolava ancora rapita da Morfeo, la bocca socchiusa conservava ancora il respiro profondo della notte. Era quel giorno. Il giorno del nostro incontro mensile. Io e lui. E nessun altro. Due corpi intrecciati. E due anime lontane. Questo eravamo io e lui. Ma a quel tempo ancora non lo sapevo. O forse sì. Chissà. Dopo essermi alzata, riempivo il catino di acqua fresca e mi lavavo il viso, il collo, le braccia, con cura, lentamente. Era il mio rito mattutino. Farmi bella per lui. Solo per lui. Poi da sotto il letto estraevo la valigia. Le passavo sopra la mano, rapidamente, per togliere i granelli di polvere accumulatisi dal mese precedente. La aprivo, socchiudevo gli occhi e ne inalavo il profumo intenso. Un vortice di sensazioni mi rapiva ricordandomi il tempo passato con lui il mese prima. Ogni volta che ripartivo era come se in quella vecchia valigia richiudessi un po’ del profumo di lui, e di noi due insieme.

Quegli incontri si ripetevano da anni e si sarebbero ripetuti ancora per molto tempo se non fosse stato per quella vecchia valigia. A lui bastava il mio corpo, giovane, sodo, eccitato come quello di una scolaretta al primo giorno di scuola. Della mia anima non gli importava granché e nemmeno del mio cuore che attendevano illusi che lui lasciasse la moglie per restare finalmente con me. La valigia era lì però ogni mese a ricordarmi che forse nella vita di lui ero solo di passaggio, un soffio di vita ebbra del piacere della gioventù che vive nel presente e non chiede nulla al domani. Lui era così, un uomo che amava specchiarsi nei miei occhi adoranti e ricevere ogni mese conferma del suo fascino immutabile nel tempo.

Un primo, quasi impercettibile, segno di incrinatura nell’idillio del nostro tran tran amoroso lo ebbi il lunedì che decisi, dopo una notte avara di sonno, di preparare la valigia per non tornare più e restare per sempre con lui. Sentivo dentro di me che non mi bastavano più quei pochi giorni fugaci di passioni rubate. Volevo stare con lui. Sempre. In ogni momento. Quel lunedì scesi dal treno, lui mi prese come al solito la valigia, poi si bloccò un istante con lo sguardo fisso nel vuoto. Vidi una ruga sottile comparire furtiva a tagliarli in due la fronte, quasi presagisse le mie intenzioni. Una valigia così pesante, osservò, non capisco cosa possa mai contenere. Era abituato a vedermi aprire la valigia con solennità e tirar fuori una alla volta, con un pizzico di maliziosa civetteria, solo quelle sottovesti di seta frusciante che lo avvolgevano di piacere. Ma quel lunedì non dovetti attendere molto prima di capire che quella mia valigia così pesante era stata per lui il primo segnale che di lì a poco la fiamma della nostra passione si sarebbe spenta per sempre, sotto quel peso per lui insopportabile.